Silvio Berlusconi, due anni senza: un vuoto che pesa sul mondo

Sono passati due anni da quel 12 giugno 2023, quando Silvio Berlusconi ci ha lasciati, e il mondo sembra essersi incamminato su una strada più buia, più incerta, come un’orchestra senza il suo Maestro. L’Italia, l’Europa, il pianeta intero: tutto sembra scricchiolare, come se l’assenza di quell’uomo, con il suo sorriso sornione e la sua energia inesauribile, abbia lasciato un vuoto che nessuno è stato capace di colmare. Scrivere di Lui, ancora oggi, è un esercizio di nostalgia, ma anche di lucidità: perché il Dottore, con i suoi difetti e la sua grandezza, era una forza della natura, un visionario che avrebbe potuto cambiare il corso di questi tempi difficili.
Guardo l’Italia di oggi e vedo un Paese che ha perso il coraggio di sognare in grande. La politica è diventata un’arena di mediocrità, di slogan vuoti e di battibecchi sterili: dove sono finite le visioni audaci, le promesse di un futuro migliore, quel “meno tasse per tutti” che, al di là delle critiche, era un grido di speranza? Silvio aveva il dono di parlare al cuore delle persone, di farle sentire parte di un progetto più grande.
Oggi, invece, ci troviamo impantanati in una crisi economica che morde, in un dibattito pubblico che si nutre di divisioni e in un governo che – nonostante la straordinaria bravura del nostro Primo Ministro – dà l’impressione di arrancare. Lui, con la sua capacità di mediare, di costruire ponti, di guardare oltre i confini, avrebbe saputo dare una scossa. Avrebbe preso il telefono, chiamato i leader europei e trovato soluzioni per ridare slancio a un’Italia che sembra aver smarrito la sua vitalità.
Ma il vuoto di Berlusconi non si sente solo qui. Il mondo, in questi due anni, è diventato un luogo più fragile e molto pericoloso: le tensioni geopolitiche si sono acuite, la guerra in Ucraina non trova pace, il Medio Oriente brucia, Cina e Stati Uniti si sfidano in un duello che minaccia l’equilibrio globale. Silvio, con il suo pragmatismo e la sua abilità diplomatica, avrebbe potuto fare la differenza.

Ricordo le immagini di Pratica di Mare, nel 2002, quando fece sedere allo stesso tavolo Bush e Putin, siglando un accordo storico tra NATO e Russia. Chi, oggi, sarebbe capace di un’impresa simile? Chi avrebbe il carisma, la lungimiranza, la capacità di trasformare un conflitto in un’opportunità? Berlusconi era un costruttore di pace, un uomo che sapeva parlare con tutti, dai potenti della Terra ai cittadini comuni. In un’epoca di muri e divisioni, la sua voce manca come l’aria.

Pensiamo alla crisi energetica, che strozza l’Europa. Lui, che aveva sempre un occhio al futuro, avrebbe spinto per soluzioni concrete: magari un nuovo patto con i Paesi produttori di energia, o un piano per l’indipendenza energetica dell’Italia, senza cedere alle ideologie verdi che spesso si traducono in immobilismo.
E che dire della crisi migratoria? Lui non si sarebbe limitato a proclami o a chiudere i porti: avrebbe lavorato per accordi internazionali, per una gestione umana ma ordinata, come fece con Gheddafi nel bene e nel male. E di certo non si sarebbe avventurato in follie strampalate come Ius Scholae, o Ius Culturae, o Ius Italiae di nuovo conio.
La sua assenza si sente in ogni dossier internazionale, in ogni crisi che richiede un leader capace di pensare fuori dagli schemi.
E poi c’è l’Europa, questa Unione che arranca, sempre più lontana dai cittadini. Berlusconi era un convinto europeista, ma non era acciecato da un’Europa senza se e senza ma: la sognava forte e unita, ma al contempo rispettosa delle singole identità nazionali. Oggi, mentre Bruxelles si perde in burocrazia e in ideologiche follie come il green, il suo equilibrio sarebbe stato un faro: avrebbe saputo parlare ai leader di Francia e Germania, ma anche agli italiani che si sentono abbandonati da un’Europa palesemente troppo distante. Avrebbe trovato il modo di ricucire, di ispirare, di costruire.
Scrivere di Lui, oggi, è un atto di giustizia. Non perché fosse perfetto – chi lo è? – ma perché era unico. Silvio Berlusconi non era solo un politico, un imprenditore, un comunicatore: era un simbolo di un’Italia che osava, che credeva in se stessa. E io, che ho sempre ammirato la sua capacità di rialzarsi, di combattere, di sorridere anche nelle tempeste, sento ancora un nodo in gola pensando a lui.
Mi manca la sua voce, il suo ottimismo contagioso, quel suo modo di guardare al futuro come se fosse già a portata di mano. Mi manca l’uomo che, con un gesto o una battuta, poteva accendere una speranza.

Caro Silvio, due anni dopo, il tuo ricordo è vivo, più vivo che mai. L’Italia e il mondo non sono gli stessi senza di te, e io, come tanti, porto nel cuore l’affetto per un uomo che ha segnato un’epoca. Non ti dimenticherò mai. Se puoi, continua a guardarmi da lassù.